Michael Christopher Brown è un ragazzo americano della Skagit Valley, una tranquilla zona agricola dello stato di Washington. Nato nel 1978, laureato in
psicologia, ha conseguito un master in fotografia documentaria all’Università dell’Ohio nel 2003 e partendo dalla pubblicazione su giornali universitari da allora è arrivato nel tempo a pubblicare i suoi lavori sui magazine più importanti al mondo, da Fortune a Newsweek, dal Time a National Geographic. Nel 2010 è il primo fotografo professionista a scattare fotografie con l’iPhone, girando la Cina orientale a bordo del suo furgone Jinbei. Lui fu il primo a pubblicare un servizio realizzato utilizzando uno smartphone su National Geographic Magazine (luglio 2011) e in un’intervista dell’agosto 2012
a Time spiega per bene i motivi per cui lo ha fatto; Michael Christopher Brown si è reso conto delle potenzialità del mezzo quando si trovava in Cina, dove ha vissuto per due anni tra il 2010 e il 2011. Viaggiando nei treni dei pendolari di Pechino, racconta, ha capito che per documentare quella moltitudine in maniera spontanea doveva avvicinarsi molto, e l’unico strumento per farlo era lo smartphone;
“Il cellulare mi permette di rendermi davvero invisibile, e di avvicinarmi alle persone come nessuna macchina fotografica […] forse cambierà presto, ma almeno per ora, la gente non si rende bene conto che la stai fotografando, o non ti prende sul serio come fotografo…”
L’anno dopo fotografando il conflitto in Libia gli si ruppe la macchina fotografica, e rimasto ferito ed isolato l’unica possibilità era quella di lavorare con l’iPhone, con il risultato che il suo reportage di guerra fu il primo pubblicato sulla stampa internazionale realizzato interamente con uno smartphone. Dopodiché diventa il primo fotografo con l’iPhone a entrare nella squadra dell’agenzia Magnum. Da allora ha realizzato lavori in Libia, Egitto, Repubblica democratica del Congo, Repubblica Centrafricana, Cuba e Palestina. Nel 2011, Brown ha trascorso sette mesi in Libia documentando la Rivoluzione libica. Michael Christopher Brown è stato ufficialmente nominato per entrare a far parte del team dell’agenzia Magnum Photos, una delle più prestigiose (se non la più prestigiosa) agenzie fotografiche al mondo, fondata nel lontano 1947 da giganti come Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, David Seymour e George Rodger, e nel tempo diventato uno dei più importanti traguardi per il fotogiornalismo e i fotoreporter. Le notizie della nomination di Michael Christopher Brown ha però fatto discutere per una ragione ben specifica: il fotografo americano, dopo una lunga gavetta e la sua parabola ascendente nel settore, ha deciso di seguire la strada aperta dalle nuove tecnologie, sfruttando per i suoi ultimi reportage praticamente solo il suo iPhone e alcune delle più sfruttate app fotografiche di App Store, principalmente Hipstamatic, fidata compagna dei suoi ultimi scatti.
“Che cosa è legittimo? Usare una Leica per scattare pellicola in bianco e nero per poi sviluppare e correggere luci e ombre in stampa? O scattare in RAW con
una Canon 5D, ottenendo un’immagine piatta e grigiastra da correggere in seguito, magari con vignettature e colori selettivi? […] Quindi perché dovrebbe
essere contrario all’etica usare Hipstamatic, un software che crea immagini a colore e perfettamente a fuoco? Qual è più ‘realistico’?”.
Tutto questo per dimostrare una semplice cosa, che poi tanto semplice non è, ossia che non è il mezzo a fare l’immagine, il concetto e la storia ma sono le idee, la sensibilità e la cultura di chi è dietro il mezzo a fare la differenza e non c’è alcun mezzo che può trasmettertela se non l’hai dentro te. Quindi l’estenuante ricerca del mezzo, quella “religione” dell’ultimo modello di quella determinata marca è solo un modo per alimentare un mercato che è divenuto sempre più assurdo e competitivo. Il mezzo con cui si fotografa conta poco (al netto di determinate esigenze professionali ovviamente) nella creazione di fotografie, ma contano più l’esperienza accumulata, cosa si vuole dire, la maggior cultura a tema possibile e il perché si vuole scattare, non tanto con cosa, come Michael Christopher Brown ce lo ha dimostrato brillantemente.